Riecco la Champions, Banca centrale europea del calcio. Caccia al Manchester City del Pep, senza dimenticare che, la scorsa stagione, il nostro calcio produsse tre finaliste: l’Inter proprio lì; la Roma in Europa League; la Fiorentina in Conference. Tutte sconfitte, ma come diceva Nelson Mandela: «Io non perdo mai: o vinco o imparo». Morale: guai a fare gli sbruffoni, guai a fare gli sfascisti. Il cielo si è abbassato, e le stelle ci guardano da lontano, molto lontano: Cristiano dall’Arabia, Leo dagli States. Addirittura.
Il rito del sorteggio semina tracce, non sentenze: anche se alcuni pronostici possono sembrarlo, davvero. Com’è andata: benone all’Inter (che partiva in seconda fascia), bene al Napoli (l’unica in prima classe), benino alla Lazio e così così al Milan, entrambe in terza.
Spulciando qua e là . Ancelotti torna sotto il Vesuvio con la doppia carica di tecnico del Madrid e del Brasile (da giugno). Courtois e Militao sono k.o. Vinicius un po’ meno. Occhio a Ehi Jude Bellingham: classe 2003, metà rifinitore metà cannoniere. Per ora, almeno. Ripassare la storia non è mai esercizio futile. E Garcia ne ha bisogno. Tranquillo: Spalletti gli ha lasciato una Red Bull, non una Ferrari. Da non trascurare, inoltre, la partenza-sprint dell’Union Berlino, che dopo Gosens ha scritturato persino Bonucci, 36 anni di malizia liquidati da Madama non proprio in punta di brindisi.
Inzaghino ritrova il Benfica, già liquidato in era Lukaku, con un Di Maria in più. Sarri, che non ha mai amato la politica del «doppio binario», dovrà guardarsi dal Cholismo dell’Atletico e dalla cavalleria leggera del Feyenoord.
E poi c’è Pioli. Sulla carta, il girone più agguerrito: tra il gran bordello del Paris Saint-Qatar,
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